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Storia e Habitat

 

 

Il Castello di Brazzà (chiamato anche “Brazzacco di Sopra”, in origine Braitan,) è inserito in un borgo medioevale (Brakta Pagus) di grande interesse storico. Il borgo comprende la cappella gentilizia di San Leonardo anteriore al X° secolo (affreschi del XII° secolo), un castello dell’XI° secolo, la Casa di Antonio Savorgnan (antistante il castello, ora chiamata Casa delle Rose) del XV°-XVII° secolo, due barchesse veneziane e una villa padronale del XVII° secolo (ricostruita dopo l’incendio del 1918 dall’architetto palladiano Provino  Valle). Il Castello di Brazzà è sito in un parco più che centenario che fu creato alla fine del secolo diciannovesimo da Cora Slocomb, la moglie americana di Detalmo di Brazzà, l’allora proprietario del Castello di Brazzà e fratello dell’esploratore Pietro.

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Il Castello di Brazzà fu sin dal dodicesimo secolo una delle sedi dei Savorgnan. Fu per secoli l’avamposto a nord della Serenissima Repubblica di Venezia e il contesto originale della storia di Giulietta e Romeo nel XV° secolo. Studi recenti del Prof. Clough, il maggiore esperto Shakespeariano vivente hanno, infatti, identificato questo castello come il vero luogo della storia di Giulietta (Lucina Savorgnan) scritta dal poeta seicentesco Luigi da Porto (cugino di Lucina e suo Romeo) alla quale si sarebbe ispirato il grande poeta inglese. Brazzà fu poi il punto di partenza e di riposo dell’esploratore Pietro di Brazzà Savorgnan che dette un impero alla Francia (Africa Equatoriale Francese) e fondò Brazzaville, l’attuale capitale del Congo-Brazzà. In seguito, durante la prima guerra mondiale divenne il quartiere generale dell’armata austriaca (che causò involontariamente l’incendio della villa nel 1918) nell’Italia del Nord-Est e fu poi occupata dell’armata tedesca durante la seconda guerra mondiale, e dagli alleati (US Desert Force) alla fine di quella guerra, per diventare infine la residenza del comandante delle truppe italiane nella zona Generale Cordero di Montezemolo fino al 1948. Brazzà ricevette e offrì alloggio a re (Vittorio Emanuele III°), governatori, generali, ministri, ambasciatori, scrittori e pittori, profughi e perseguitati d’Europa e d’oltre oceano e recentemente divenne con il proprietario Detalmo Pirzio-Biroli crocevia delle relazioni tra l’Europa e l’Africa e cenacolo di studenti universitari.

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La storia del Castello di Brazzà e della famiglia di Brazzà Savorgnan fu oggetto di vari libri, tra cui basti citare il libro Giulietta di Jacopo da Porto nel Cinquecento, Enchanters’ Nightshade e A Family of Two Worlds della zia di Cora Cottie O’Malley (in arte Ann Bridge, cugina di Cora) negli anni venti, le memorie Storia incredibile/I Figli Strappati di Fey von Hassell, Il Fuoco dell’Anima/La Signora di Sing-Sing di Idanna Pucci (su Cora di Brazzà) e più recentemente Finestre e Finestrelle su Brazzà e Altrove di Detalmo Pirzio-Biroli. L’epopea di Pietro di Brazzà è celebrata in una ventina di biografie sull’esploratore, soprattutto in francese, tra le quali la prima fu Brazza del Generale de Chambrun nel 1930; alcune biografie in inglese, tra cui Brazzà of the Congo di Richard West, A Life for Africa di Maria Petringa e alcune anche in Italiano, tra le quali la prima fu L’uomo che donò un Impero di suo fratello Francesco e l’ultima Pietro Savorgnan di Brazzà esploratore leggendario di suo pro-nipote Corrado Pirzio-Biroli (2006).

Il castello è ormai disabitato dal 1948 (quando ci vissero ufficiali alleati) e in pratica inaccessibile al pubblico (per motivi di sicurezza). I fabbricati rurali erano in gran parte rimasti inutilizzati in uno stato di abbandono e dopo il terremoto del 1976 erano diventati pericolanti. L’unica ad essere abitata quasi senza interruzioni era la villa padronale denominata “Castello di Brazzà”.

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Per quanto riguarda il Castello di Brazzà si vedano anche:
• Castelli Friulani, Storia e Civiltà, Edizione Magnus, 1997. Testi di Christoph Ulmer, foto di Gianni D’Affara, pp. 192-199
• Creating the Future of the Countryside. The European Estate, Edizioni Otero, Friends of the Countryside, pp. 504-513

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